Non dite mai a una ragazzina che è grassa

prendono-in-giroFonte: www.healthdesk.it

Sembra un gioco da ragazzini. Nei fatti lo è. Ma le conseguenze possono essere pesanti sulla salute. Quando un’adolescente si sente ripetere dai compagni, dai fratelli, dagli amici che è grassa – come in una profezia che si autorealizza – diventerà veramente grassa. O per dirla con termini medici, obesa.

È questo che sostiene uno studio condotto dall’University of California di Los Angeles su più di duemila ragazzine delle scuole medie pubblicato sulla rivista JAMA Pediatrics [visibile qui].

Il team ha intervistato le ragazze quando avevano dieci anni e poi, di nuovo quando ne avevano 19, ponendo domande sul loro rapporto con il peso e chiedendo esplicitamente se qualcuno le prendesse in giro per il loro peso. Inoltre ha calcolato il loro indice di massa corporea.

Ebbene, all’inizio dello studio il 58 per cento delle ragazze era stata presa in giro perché troppo grassa (anche se non c’era alcuna reale ragione). Quelle ragazze nove anni più tardi avevano una probabilità del 66% più alta di essere obese.

Inoltre, quanto più alto era il numero di persone che aveva detto loro di essere grasse tanto maggiori erano le probabilità di ritrovarsi obese.

«Siamo quasi caduti dalle nostre sedie quando abbiamo scoperto che essere etichettato come troppo grasso ha un effetto misurabile quasi un decennio più tardi», ha commentato la coordinatrice dello studio Janet Tomiyama, docente di psicologia all’università californiana. «L’effetto è rimasto anche dopo che, con operazioni statistiche, abbiamo rimosso gli effetti del loro peso effettivo al momento del primo questionario, il reddito , la razza […]». Per i ricercatori questa operazione è la prova del nove perché consente di prevenire la critica più scontata ai risultati dello studio, cioè che l’appellativo di “grasse” fosse appioppato alle ragazze più in carne e quindi in qualche modo già a maggior rischio di diventare obese. Non è così, spiegano i ricercatori: «essere etichettati come troppo grasse crea un rischio aggiuntivo di essere obesi», ha precisato Tomiyama.

Essere definito grasso, infatti, aggiunge un altro autore dello studio, Jeffrey Hunger, può portare a molti comportamenti che indirizzano verso l’obesità. «La semplice etichetta di “grasso” può portare a sperimentare lo stigma e la discriminazione subita dalle persone in sovrappeso. Ciò aumenta lo stress e può portare a mangiare troppo», ha spiegato.

Non è una novità, ha concluso Tomiyama, «Quando le persone si sentono male , tendono a mangiare di più, non vanno a fare diete o jogging». Inoltre, «stare male per il proprio peso eccessivo potrebbe aumentare i livelli di cortisolo, l’ormone [l’ormone dello stress], che generalmente porta ad un aumento di peso»

Pubblicato in Articoli, Ci studiano | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Non dite mai a una ragazzina che è grassa

Profezia

pappaBambini coccolati, pregati, ricattati, ingannati da schiere di madri, padri, nonni, zii, vicini di casa… al solo scopo di farli mangiare.

E loro là con la faccia schifata, che da sola gli garantisce già così, piccoli piccoli, il gran culo che avranno da grandi di non avere problemi di linea e ancora di più di avere una schiera di persone che gli vogliono bene e si preoccuperanno di loro.

Li odio.

Pubblicato in Sfoghi | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

Uno studio rivela che le donne obese sono discriminate sul lavoro

Fonte: http://cordis.europa.eu/

obesi lavoroRicercatori provenienti da Australia e Regno Unito hanno scoperto che la discriminazione nel mercato del lavoro continua a esistere. Presentato sull’International Journal of Obesity, lo studio mostra che le donne obese non hanno molte probabilità di ottenere un lavoro quando si trovano di fronte candidate non sovrappeso. Ma non è tutto. Le donne obese sono anche pagate meno rispetto alle loro colleghe magre.

I ricercatori dell’Università di Manchester nel Regno Unito e della Monash University in Australia hanno studiato un metodo di misurazione dei pregiudizi verso le persone grasse recentemente sviluppato, l’universal measure of bias (UMB), per vedere se è in grado di prevedere la reale discriminazione sul lavoro.

Il team ha anche studiato se ci fosse un legame tra la discriminazione a causa dell’obesità e l’insicurezza che le donne hanno riguardo il loro corpo (cioè l’immagine del proprio corpo) e una personalità tradizionalista, compresa la tendenza verso l’autoritarismo e il dominio sociale. Gli esperti hanno identificato un legame tra questi fattori e l’omofobia e il razzismo.

Il dott. Kerry O’Brien, docente presso la Monash University e ricercatore presso l’Università di Manchester, ha detto che ai partecipanti inizialmente non era stata comunicata la natura dello studio. Si sono iscritti allo studio dopo aver visto una pubblicità di ricercatori che studiavano se alcune persone sono più brave di altre a selezionare il personale.

“I partecipanti hanno visionato una serie di curriculum corredati da una piccola foto del candidato e hanno fatto una classifica dell’idoneità dei candidati, dello stipendio iniziale e dell’impiegabilità,” ha detto il dott. O’Brien. “Abbiamo usato fotografie di donne prima e dopo interventi di chirurgia bariatrica e abbiamo fatto in modo che i partecipanti vedessero un curriculum, tra tanti, con una foto di una donna obesa (IMC 38-4) o della stessa donna ma con un peso normale (IMC 22-24) in seguito alla chirurgia bariatrica,” ha aggiunto. “Abbiamo scoperto una forte discriminazione dell’obesità nei criteri di selezione per il posto di lavoro, come lo stipendio iniziale, le potenzialità di leadership e le probabilità di selezionare un candidato obeso per il lavoro.”

Hanno scoperto che più era alto il punteggio ottenuto da un soggetto nella misura del pregiudizio anti obesità, maggiori erano le probabilità che questi discriminassero i candidati obesi. Hanno osservato che anche le persone che hanno una personalità più autoritaria sono inclini a discriminare.

Il team ha inoltre identificato un legame tra l’opinione dei soggetti sul loro stesso aspetto fisico (l’immagine del corpo), l’importanza dell’aspetto fisico e la discriminazione verso l’obesità.

“Più era alta la valutazione che i partecipanti davano alla loro avvenenza fisica e all’importanza dell’aspetto fisico, maggiore era il pregiudizio e la discriminazione,” ha sottolineato il dott. O’Brien. “Un’interpretazione di questi risultati potrebbe essere che se ci confrontiamo e discriminiamo le persone “grasse” ci sentiamo meglio nel nostro corpo, ma questo deve essere testato in un esperimento.”

È la prima volta che ricercatori identificano un legame esplicito tra la misura riferita del pregiudizio contro l’obesità e la discriminazione degli obesi sul lavoro. Secondo il team, i risultati suggeriscono che l’idea di superiorità che alcuni individui hanno sugli altri è legata alla percezione che gli individui obesi meritano meno privilegi e opportunità rispetto a chi non è grasso.

“I nostri risultati mostrano che c’è un chiaro bisogno di occuparsi della discriminazione dell’obesità, in particolare nei confronti delle donne che tendono a sostenere tutto il peso dei pregiudizi contro le persone grasse,” ha detto il dott. O’Brien. “Si devono sviluppare interventi e politiche per ridurre i pregiudizi. Sta diventando inoltre sempre più chiaro che questo pregiudizio è legato alle nostre personalità, l’opinione che abbiamo di noi stessi, e che le attribuzioni, come per esempio che le persone obese sono pigre, ingorde ecc. sono mere giustificazioni dei nostri pregiudizi.”

Hanno collaborato a questo studio anche esperti provenienti da Nuova Zelanda e Stati Uniti.

Per maggiori informazioni, visitare:

Università di Manchester:
http://www.manchester.ac.uk/

International Journal of Obesity:
http://www.nature.com/ijo/index.html

Pubblicato in Ci studiano | Contrassegnato , , , , , , , | Lascia un commento

I programmi televisivi per dimagrire destinati a bambini e adolescenti obesi possono aiutare? Gli esperti dicono di no

Fonte: http://www.ilfattoalimentare.it/programmi-televisivi-ragazzi-obesi-bocciati.html

È boom in tv di reality che abbiano per protagonisti bambini o adolescenti in sovrappeso oppure obesi. Su MTV, per esempio, va in onda Teenager in crisi di peso, programma made in Usa dedicato – si legge sul sito – a “ragazzi un po’ in carne che vogliono perdere peso prima di iniziare il college”. Come? Con l’aiuto di un coach che li incita a seguire uno schema durissimo di dieta e di esercizi fisici. Josh, per esempio, pesa 143 kg, è molto goloso e un po’ pigro. Un giorno, però, nella sua vita irrompe “l’energumeno tatuato” Joey, il trainer, e tutto cambia: niente più hamburger e pancake al cioccolato e bando alla pigrizia. In palestra, Josh comincia a sollevare pesi, correre, salire scale e così via. Dopo 110 giorni, la prova bilancia è un trionfo: il ragazzo andrà al college con 53 kg in meno.

Su RealTime un altro programma americano, Adolescenti XXL, segue le vicende di un gruppo di giovani obesi in una scuola particolare, in cui non solo si studia ma si sta anche a dieta e, di nuovo, si fa della grande attività fisica. E ancora, su FoxLife è arrivato a fine novembre Tesoro, salviamo i ragazzi, programma di rieducazione sul modello del fortunatissimo SOS Tata. Il format è della BBC, ma adattato alla produzione italiana, con un’atmosfera visibilmente meno competitiva ed esasperata di quella dei reality americani. Punto di forza del programma è il conduttore Marco Bianchi, autorevole figura di “scienziato-chef”, con un lavoro all’Istituto europeo di oncologia e una passione per cucina e alimentazione naturale. In ogni puntata Bianchi guida una famiglia con un bambino o una bambina con problemi di peso a scelte più consapevoli in fatto di stile di vita, assistendo nella spesa di cibo e proponendo ricette più salutari.

tipo risponde evidentemente a una domanda: le vicende dei ragazzi “in crisi di peso” appassionano e la proposta di ricette insolite (dalle zucchine ripiene con ricotta e broccoli alle palline dolci di semolino e cocco) attira. Del resto, anche in Italia l’obesità infantile ha raggiunto livelli preoccupanti: si stima che nel nostro paese il 23% di bambini tra gli 8 e i 9 anni sia in sovrappeso e il 12% sia obeso. Più di uno su tre.

Ma un reality che ruoti attorno a una bilancia può davvero fare qualcosa per curare o prevenire l’obesità? O magari anche soltanto per promuovere la consapevolezza delle famiglie sul tema? Il Fatto Alimentare lo ha chiesto ad alcuni esperti che si occupano di obesità e disturbi del comportamento alimentare (DCA), specialmente sul fronte infantile: Alessandro Sartorio, primario endocrinologo dell’Istituto auxologico italiano, Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile del centro DCA Palazzo Francisci di Todi, Simone Pampanelli, endocrinologo dell’Ausl 2 di Perugia infine Adriano Cattaneo, del dipartimento di epidemiologia, prevenzione e qualità delle cure dell’ospedale pediatrico Burlo di Trieste.
Il loro giudizio nel complesso non è affatto positivo. Se può essere importante parlare del problema (e non è detto che sia così) e magari presentarlo in tv anche attraverso le modalità narrative del reality, più accattivanti, i contenuti proposti da quello che passa oggi sullo schermo non sono adeguati, quando non addirittura controproducenti. Vediamo in dettaglio gli aspetti più critici segnalati dagli esperti.

Semplificazione e banalizzazione

«L’obesità infantile è una malattia grave e complessa, di origine multifattoriale», spiega Alessandro Sartorio, che è anche promotore del sito educativo www.cresceresani.it. «Sono coinvolte componenti genetiche, psicologiche, sociali: non la si può ridurre a una questione di p
proporre alle famiglie nuove idee in cucina, per preparare in modo più appetitoso i cibi “sani” che in genere i bambini rifiutano, come le verdure. Ma attenzione che siano davvero fattibili e ben accolte: il tempo a disposizione per cucinare è comunque poco e se è vero che un panino integrale con crema di tofu e olive è sicuramente più sano di un hamburger con salse e patatine, bisogna poi essere sicuri che i bambini lo mangino davvero.

Esercizi estremi

Soprattutto nei reality di matrice americana, la parte sull’attività fisica sembra tratta da un programma di allenamento per campioni olimpici. «Eppure quelli che si sforzano a correre e a saltare non sono campioni e neanche sportivi: anzi, non sono neppure persone sane, ma malati», precisa Sartorio. «Per di più, le nostre ricerche hanno mostrato che, per essere davvero efficace nel bruciare i grassi, l’attività fisica fatta dai ragazzini deve essere a bassa intensità: proprio il contrario di quello che si vede in tv». Per questo nei centri che si occupano di obesità infantile si parla piuttosto di arrività fisica “adattata” e si cerca di motivare bambini e ragazzi al movimento all’aperto. Insomma non è detto che serva la palestra, che magari è anche costosa: basterebbe stimolare i bambini a giocare fuori.

Psicologia del “se vuoi puoi” e del “tutto subito”

Tanta forza di volontà: per dire no a gelato e patatine e per resistere all’ennesima flessione. Sembra questo, alla fine, l’ingrediente fondamentale della maggior parte dei reality sull’obesità, in cui il coach ha proprio il ruolo di convincere il protagonista di turno che se si impegna può farcela davvero. Ma non c’è messaggio più sbagliato, per Simone Pampanelli e Laura Dalla Ragione. «L’abbiamo detto: l’obesità una malattia multifattoriale, spesso con una forte componente psicologica. La forza di volontà del singolo non basta affatto», precisano. Per di più, puntare tutto sulla volontà del singolo significa lasciarlo ancora più frustrato se non riesce a perdere peso. E ancora: «Certi programmi esaltano la forma fisica come rinforzo del legame tra aspetto e felicità», spiega Dalla Ragione. «Si rischia che nella mente dei giovani spettatori si rinforzi l’equazione perdere peso uguale a essere sexy e felici. Ma se il peso in eccesso è, tra le altre cose, il sintomo di un disagio psicologico profondo, dimagrire non serve a far sparire quel disagio. Per questo noi lavoriamo piuttosto sull’accettazione del corpo, come unico e speciale».eso da affrontare con una dieta drastica e un’attività fisica estenuante, con il solo aiuto di un coach. Ci vuole un approccio multidisciplinare, che segua il piccolo paziente in un percorso lungo e lento: un aspetto che non emerge affatto dai reality». Pienamente d’accordo Simone Pampanelli: «L’unica possibilità per vincere la malattia è lavorare contemporaneamente su più fronti: non basta un trainer che inciti a fare del proprio meglio, né un cuoco che consigli ricette, neppure le migliori del mondo».

Diete troppo drastiche

«Quando lavoriamo con i bambini non parliamo mai di cibo. Al massimo, ne parliamo con i loro genitori, per indirizzarli a scelte più consapevoli e salutari, ma sempre nell’ambito di un percorso che tenga conto di molti altri aspetti», racconta Pampanelli. «Intanto perché se un bambino mangia troppo in genere è per via qualche altro disagio più profondo, per cui è bene cominciare a far emergere quel disagio. E poi perché non possiamo dimenticare che fuori dall’ambulatorio c’è comunque una realtà fatta di compleanni da Mc Donald’s, di merendine e di bibite zuccherate: non possiamo togliere di punto in bianco a un bambino le cose che fanno parte della sua infanzia». Del resto, ormai lo sappiamo tutti: facendo una dieta drastica si può anche dimagrire abbastanza velocemente, ma di norma il peso perso lo si riprende tutto (e anche di più). «E senza contare – conclude Sartorio – che i bambini devono crescere e una dieta troppo restrittiva per loro non va affatto bene».
Puntare tutto sulle scelte individuali

Anche chi studia l’obesità attraverso la lente dell’epidemiologia, come fa Adriano Cattaneo, ha qualcosa da ridire sull’efficacia dei programmi di cui abbiamo parlato come deterrente per arginarne la diffusione. «Tutti puntano a prevenire o ridurre l’obesità modificando i comportamenti individuali, ma ormai sappiamo che quando si ragiona in termini di popolazione questo approccio è sbagliato», afferma l’esperto. «In generale, i comportamenti individuali dipendono solo in piccola parte dalle decisioni individuali e in misura maggiore da una serie di fattori detti determinanti sociali che possono andare dal livello d’istruzione al reddito, dall’occupazione alla possibilità di accesso a informazioni o a pubblicità, dalla disponibilità di sistemi di trasporto attivo ai sistemi di tassazione e così via.

Sono proprio gli interventi sui determinanti sociali a cambiare collettivamente i comportamenti: nel caso del fumo, per esempio, hanno fatto di più certe leggi e il cambiamento di certi modelli (come il cinema di Hollywood) del counseling dei medici di famiglia ai singoli pazienti. Per l’obesità è lo stesso: meglio una bella legge che proibisca la pubblicità di alimenti per bambini o tassi al 500% le bibite zuccherate, piuttosto che un reality con personal trainer».

Valentina Murelli

Pubblicato in Articoli, Le provano tutte | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento